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Gennaio 1959


di Gianni Nigro
Era ‘r tempo delle ce’e
splendidi giolni
di sole
freddo e squillante.
Luce d’invelno.
Luce di Livolno.
Eran’ i giolni
che ‘pomeriggi cominciavano
ad allungassi
e ‘r gatto
si grattava dietr’all’orecchi
promettendo pioggia
e la mi’ nonna
cuciva alla macchina
collo scardino tra le ‘aviglie.
Eran’ i giolni
dell’urtima ‘nfanzia.
Poi di ‘orpo tutto
finì.
Traduzione dal Vernacolo livornese

Era il tempo delle ceche*, splendidi giorni di sole freddo e squillante. Luce d’inverno. Luce di Livorno. Erano i giorni in cui i pomeriggi cominciavano ad allungarsi e il gatto si grattava dietro agli orecchi promettendo pioggia e la mia nonna cuciva con lo scaldino* tra le caviglie. Erano i giorni dell’ultima infanzia. Poi di colpo tutto finì.

Nota 1: le ceche sono le anguille a un particolare stadio giovanile.

Nota 2: gli scaldini erano dei contenitori di metallo o più spesso di ceramica in cui d’inverno le donne mettevano della carbonella e tenevano lo scaldino tra le caviglie, quando erano sedute, per sentire meno freddo (in case in cui non c’era il riscaldamento, cosa che, a Livorno, a quei tempi, nelle case vecchie era molto frequente).