Villa Quercinettini
Gianni Nigro
Villa Quercinettini





NOTA Questa è un’opera di pura fantasia. Tutti i personaggi e tutti gli avvenimenti sono esclusivamente frutto dell’immaginazione dell’autore. Qualsiasi rassomiglianza anche vaga con località e persone esistite o esistenti è del tutto casuale.
   Le località espressamente citate, se esistenti, sono state reinterpretate in chiave del tutto fantasiosa dall’autore, e ciò che vi viene narrato è frutto dell’immaginazione dell’autore stesso e non ha, nel modo più assoluto, alcuna attinenza a fatti o episodi relativi alla realtà.





Capitolo 1 - Il Ritorno






Uscendo dall’autostrada vengo afferrato da un senso di sgomento. L’emozione mi attanaglia la gola, il cuore, rimbalza tra i quattro lati della cassa toracica come se avessi appena corso un miglio a perdifiato. Quanto tempo è passato … da quando è passato tanto tempo!
   La villa dell’infanzia, dell’adolescenza, delle avventure alla scoperta di nuovi spazi, di nuovi volti, le giovani ragazze che per la prima volta diventavano qualcosa di diverso, mi provocavano esplosioni di strane sensazioni, di tenerezza, di calamitaggio, diventavano pensieri fissi, inamovibili dalla mente. Imbocco la stradina stretta tra due ali di olmi. Era una stradina bianca, a quei tempi, polvere bianca come talco, sassi bianchi, talvolta aguzzi, che foravano le ruote della bicicletta.
   Per quanti anni ho desiderato scrivere di quei lontani giorni. Anzi, per quanto tempo volevo scrivere di tutto, della Villa dei miei, della mega villa di Vincent, della mia professione, dei tanti e tanti episodi vissuti, delle persone conosciute, delle gioie e delle tragedie, e anche soprattutto della quotidianità.
   Ma la professione mi divorava ogni attimo della mia giornata e a sera, esausto crollavo sul letto, senza avere neanche la forza di cenare. E spesso mi addormentavo come una pietra, sul letto, ancora vestito, tratte poi essere svegliato in piena notte dal telefono o da qualcuno che suonava al campanello o bussava disperatamente contro le persiane chiude della finestra perché c’era un malato.
   Una vita trascorsa in un lampo.
L’ultimo tratto di strada, anch’esso di strada bianca ora asfaltata e molto allargata, è un rettilineo, il rettilineo che forse ho percorso di più in tutta la mia vita e con tutti i mezzi, a piedi, in bici, sul carro trainato dalle mucche, sul carro trainato dal trattore o sul cofano stesso del trattore, su un camion, in tassì, in auto, una volta addirittura coi pattini a rotelle, quando asfaltarono la stradina. È qui, in questa antica. vecchia casa di famiglia, che ho deciso di concludere i miei giorni, scrivendo, narrando per chiunque avrà la pazienza di leggere, o anche solo scrivere per liberarmi, una volta per tutte, dei ricordi tristi, e per rivivere, scrivendo, i momenti felici.
Il cancello di Villa Quercinettini    Apro il cancello con fatica. Foglie marce, stratificate negli anni, ingranaggi arrugginiti, tutto rende difficile l’apertura di quel cancello che ora assume il valore simbolico di rientrare nel mondo dei ricordi e di lasciare alla spalle una vita vissuta.
   La villa è là, davanti ai miei occhi. Mi avvicino lentamente e non mi sembra neanche di camminare, ho semmai la sensazione come di essere in un film e il mio sguardo è una lenta carrellata in avanti, uno zoom verso la piccola porta dalla quale si accede all’interno della antica costruzione.
   Sono inebriato dall’intenso odore di muschio, di foglie pregne di umidità, del frizzante profumo dei pini, degli abeti, dal selvatico umore della terra fradicia di pioggia recente, mi sento penetrato dal freddo autunnale, avvolto da quell’atmosfera cadente di una stagione che termina, di un anno che volge alla fine, del punto di arrivo, forse, di una intera vita.
   La porta non si aprirà col volto di una zia di mia madre, come accadeva nella mia infanzia, nella mia adolescenza. La porta non si aprirà col volto di mia madre, come capitava ogni volta che tornavo a casa, come è successo per tanti e tanti anni.
   Ora la casa è vuota, priva di vita, quasi una casa fantasma. La chiave è come sempre sotto a uno dei vasi da fiori, ma i fiori non ci sono più, restano soltanto i rami secchi della pianta.
Macchinalmente mi metto la chiave in tasca e vado al bar, come ai bei tempi, quando ero nel pieno degli anni.
   Entro e vedo solo volti sconosciuti. Era un paesino di tre case. Adesso, per via della vicinanza a una città, da microscopico villaggio di campagna si è trasformato in quartiere satellite e conta una ventina di villette a schiera, tutte abitate da gente proveniente da altri luoghi.
   Al banco c’è il bel viso nuovo di una ragazza dai capelli corti e biondi, occhi chiari e lineamenti acuti.    «Vorrei … », le chiedo gentilmente, «vorrei un cappuccino, per favore».
   «Bene», mi risponde con un sorriso la giovane donna, «con cacao su capucino o non con cacao?»
   «No, no, grazie», rispondo, mentre elaboro che la sua pronuncia e il volto sono sicuramente di una ragazza proveniente da un paese dell’Europa dell’Est, «senza cacao».
Un minuto dopo la ragazza torna col cappuccino bollente e chiede ancora: «Desidera anche brioche? Brioche con marmellata? Brioche con crema?»
   I ricordi tornano a valanga e i miei occhi si spingono verso la vetrinetta in cui campeggiano stupende brioche. E finalmente la vedo, è là, è mia! «Vorrei … un maritozzo … »
   La giovane ha un attimo di esitazione. Spinge la pinza d’acciaio verso alcuni tipi di brioche. «Ecco!», esclamo con entusiasmo, quando la pinza raggiunge l’amato maritozzo, « Sì, sì, quella!» «Ecco!»



Continua ...