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GIANNI NIGRO |
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BIOGRAFIA VELOCE1 - Gianni Nigro è nato a Livorno all'inizio degli anni Cinquanta.I genitoriI suoi genitori si erano conosciuti a Pisa, presso la Facoltà di Farmacia. Il padre, Mario Nigro, già laureato in Chimica, si avvicinò all'allora diciannovenne futura madre, Violetta, con la scusa di ovviare alle di lei difficoltà che manifestava soprattutto nelle materie di chimica e di fisica. In breve i due si fidanzarono e di lì a non molto nacque Gianni Nigro, che ereditò da entrambi la passione per le Scienze, e dalla madre quella per la letteratura, in particolare per la narrativa. Entrambi i genitori di Gianni Nigro amavano le materie umanistiche, anche se da un'ottica diversa. La madre era completamente orientata verso le tematiche tipicamente letterarie, mentre il padre si dichiarava quasi nemico di una tale visione dell'arte, che per lui invece doveva al limite essere quasi antiletteraria. Mario Nigro, affettuosissimo come padre, ma caratterialmente padre padrone, aveva malvolentieri svolto tale professione presso l'ospedale di Livorno fino al 1957, quando, licenziatosi, si era dedicato completamente alla pittura, sua vera e probabilmente unica passione.2 - InfanziaGianni Nigro visse un'infanzia particolarmente felice, nella casa dei nonni, tra il viavai dei cugini, uno smisurato corridoio in cui fare corse folli, e un orto curato dal nonno e pieno di galline. Nel 1959 il padre portò lui e la madre a vivere a Milano, e Gianni perse tutto, di colpo.3 - Adolescenza e oltreDopo una adolescenza di saudade e frustrazioni, si diplomò al Liceo Scientifico Vittorio Veneto e si dedicò agli Studi di Medicina, che presto si accavallarono a studi umanistici, finché, ormai nel 1978, iniziò a collaborare con radio private dapprima, e con la sede di Firenze della Rai poi.4 - Anni OttantaPubblica alcune raccolte di racconti. Da un'esperienza di volontariato presso un centro di recupero dei giovani emarginati, nasce un romanzo di stampo realista ambientato nell’Hinterland di Milano, che viene pubblicato dalla Garzanti/Vallardi, e che ottiene un buon successo di vendite (10.000 nell’edizione Quadrifoglio e 30.000 come Euroclub). Nei Blog si trovano sempre più (a distanza di più di vent’anni!) commenti entusiasti di lettrici che hanno scovato il suo libro nei mercatini e sulle bancarelle dell’usato. Una ragazza è arrivata a leggerlo 20 volte!!! |
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Ogni tanto alzo gli occhi dal computer e guardo i libri di narrativa, di informatica,
di viaggio. Viaggiare, leggere, scrivere, e intanto, sopra le nostre teste il tempo passa,
inesorabile. E ripenso alle generazioni passate, e, a come direbbe Fucini, a quanta
acqua è passata sotto i ponti.
I miei nonni paterni I miei nonni paterni Mia nonna era pisana e aveva altre sorelle, tutte analfabete e tutte da maritare. Aveva dei bellissimi occhi azzurri ed era molto piccola di statura e assai carina, insomma, come si dice? una piccola venere. Mio nonno apparteneva ad una famiglia benestante lucana. Il padre era notaio. Ma aveva undici figli, e non ce n’era per tutti. Allora mio nonno, che aveva il cosiddetto bernoccolo della matematica, tentò il concorso d’ammissione alle Normali di Pisa e vinse. Non è ben chiaro come la famiglia di mia nonna riuscisse a invitare a pranzo giovani studenti promettenti. Forse per conoscenze. Sta di fatto che mio nonno ottenne un posto a tavole davanti a tre bellissime ragazze in fiore, e ne scelse subito una: mia nonna. La sposò e le insegnò a leggere e scrivere, e da lei ebbe quattro figli, l’ultimo dei quali, Antonio Mario Nigro, diventerà mio padre, e sarà da tutti sempre chiamato semplicemente Mario. |
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I miei nonni materni
La madre di mia madre era romagnola e praticava come infermiera nell’ospedale di Siena. Il
futuro mio nonno, invece, era di famiglia nobile, all’ultimo gradino della nobiltà, in effetti, e
suo nonno aveva sperperato tutti gli averi di famiglia, si diceva con i cavalli. In realtà si
trattava di puledre a due sole gambe, e che puledre! Sta di fatto che poi tutti dovettero lavorare, per vivere, e mio nonno dapprima si iscrisse a Ingegneria, ma lui, di matematica, non era molto appassionato… insomma, non ci capiva un tubo. Per cui passò a Medicina, anche se la famiglia arricciava il naso, perché a quei tempi si riteneva che la professione medica allontanasse dalla fede religiosa. In ogni caso si laureò e trovò un posto all’ospedale di Siena, dove incontrò quella che diventerà mia nonna e che non ho mai conosciuto, l’unica infermiera romagnola che lavorasse in quell’ospedale. In tal modo, rispettata la tradizione (di quei tempi!) del medico che sposa l’infermiera, si trasferirono a Livorno, prima alle falde di Montenero, poi sul mare. Ma la guerra avanzava e una bomba vagante cadde proprio sopra la loro casa. Mio nonno e i tre figli già grandi, sopravvissero, se pur un po’ sbertucciati, mentre mia nonna restò sotto una trave. Dei tre figli, due femmine e un maschio, mia madre era la mediana, e quando suo padre si risposò, sempre con la sua nuova infermiera, l’atmosfera in casa si fece pesante, per la gelosia della nuova arrivata nei confronti dei tre figli di primo letto. |
Il mare ha, sull'essere umano (ma non solo) un incredibile
forza di attrazione. Attrazione ancestrale, profonda.
Se poi sul mare ci si è proprio nati, è impossibile restarne
lontani. Questa foto è stata scattata dalla collina di Montenero ed è visibile (forse) un po' della città di Livorno, il mare, la focaccia (porzione abbondante) detta anche la stiacciata. |
I miei genitori
Quella che diverrà mia madre era particolarmente insofferente alle
ossessioni della matrigna. Studiava Farmacia a Pisa, ma non vedeva
l’ora di andarsene di casa. E tra gli alambicchi e le provette del
laboratorio dell’Università, trovò quest’uomo, di qualche anno più
grande, che già laureatosi in Chimica ma disoccupato, prese a
insegnarle a cincischiare con le sostanze chimiche, cosa che a lei
risultava particolarmente ostica. In realtà Mario Nigro era già stato, agli inizi degli anni Quaranta, assistente di mineralogia a Pisa. Un giorno, però, dopo una notte in cui aveva udito scoppi e schianti in direzione nord, arrivato col trenino a Pisa, vide una città diroccata. S’impressionò talmente che tornò subito a Livorno e perse il posto di assistente di mineralogia. La fama del conoscitore di minerali, però, lo inseguiva.
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Infanzia
Quando nacqui avevo già quasi una
ventina di cugini. Mi dettero il nome di mio zio, Giovanni, ma per tutti sono sempre stato
Gianni, Gianni Nigro. E con i miei cugini e mio padre, andavamo tutti in bicicletta in quel di
Popogna, località amena della campagna livornese, dove scorreva l’omonimo ruscello. In quel posto di sassi ce n’erano a non finire, e tutti i miei cugini facevano la fila a chiedere a mio padre il nome del presunto minerale che avevano in mano. «Zio, zio!» , dicevano, «Che minerale è questo? E come si chiama quest’altro?» E lui, che sì, aveva trovato un posto come farmacista agli Spedali Riuniti di Livorno, ma come unico interesse, ormai, aveva la pittura, sparava nomi a casaccio, quelli che si ricordava, come… arenaria!, roccia serpentina! Un giorno mio padre si stufò e quando un mio cugino gli chiese il nome di quell’ennesimo minerale, il professor Mario Nigro gli rispose: «Questo è un sasso-schizzo!» Il ragazzino non era molto convinto, e suo zio, essendosene accorto, rafforzò il convcetto: «Sì, sì! Questo è proprio un sasso-schizzo! Poi a casa lo laviamo bene e te lo farò vedere meglio!» Arrivammo a casa e preparammo scrupolosamente una bacinella piena d’acqua. Mio padre, molto serio, ci chiese: «Siete pronti? » Tutti si annuì. E il professore di mineralogia gettò con forza il sasso nell’acqua, che, per l’urto, schizzò fuori e ci investì. Quello era proprio un Sasso-schizzo! |
Adolescenza
Da tempo mio padre era in smania di lasciare il sicuro lavoro di farmacista per tentare
l’avventura della vita d’artista a Milano. E alla fine tanto disse e tanto fece, che riuscì a gettarci
in miseria e a trascinarci tutti al nord. Di colpo venni a perdere tutto: i nonni, i cugini, la casa dei nonni sempre piena di cugini, di cani, di gatti e di galline (perché mio nonno le lasciava entrare in casa, anzi, di notte, le forzava proprio a pernottare in casa, per paura che gliele portassero via!) Forse fu il trauma di quel distacco, a provocarmi il desiderio di scrivere. Era un modo per evadere dall’angusto appartamento al sesto piano di Viale Certosa, senza giardino, sempre solo (mia madre, infatti, nel frattempo, aveva dovuto trovarsi un lavoro, perché mio padre con la pittura non guadagnava una lira.) Quando finiva la scuola mi appollaiavo sul divano e leggevo Verne. Mia madre me ne regalava per Natale e per il compleanno, altrimenti me li procurava in biblioteca. E quando smettevo di leggere, tentavo, con una matita e un quaderno, di narrare alla Verne. Con l’allenamento arrivai ad essere tra i migliori, in Italiano, a scuola, soprattutto nei temi. Ma ero appassionato anche di cinema, di sport, praticavo l’atletica leggera (dalla velocità al mezzofondo), seguivo il ciclismo, e, come materia di studio, la mia preferita era Scienze naturali. |
I miei vent'anni felici
Presa la Maturità al Liceo Scientifico Vittorio Veneto a Milano, saltai in bicicletta e in un giorno
e mezzo raggiunsi Livorno. Pensate: mille lire per pranzare a Fornovo, mille per cenare a
Pontremoli e mille per dormire, sempre a Pontremoli. Ma la mattina dopo non fu facile
rimettersi in sella. Per un’ora intera continuai a procedere sui pedali. La strada comunque era
in discesa. Una volta scaldatomi, iniziai a lanciarmi a più di quaranta all’ora sui lunghi viali
dell’Aurelia. Quando arrivai a Livorno nessuno dei miei cugini voleva credere all’impresa. I miei vent’anni furono felici e caotici. Ero iscritto a Medicina, ma leggevo i narratori anglo- americani e russi, davo ogni tanto qualche esame e amavo viaggiare, per il momento soltanto dentro al triangolo tra Milano, Livorno e la Romagna, dove mia madre coi sua sorella e suo fratello avevano ereditato una villetta in campagna. Anzi, proprio in Romagna finii per trascorrere la maggior parte del mio tempo, tra tentativi di studiare, corse folli in bicicletta su per le colline, e l’hobby che stava diventando il mio preferito: scoprire ristorantini in collina dove farmi invitare a pranzo da mia madre. La Romagna, poi, in quanto a locali, non è superata da nessuno. Conoscevo tutti i locali più caratteristici, la “Ca’ de’ be’”, “La ca’ de’ vèn”, “La ca’ de’ Sanzvéz”, dove portavo i cugini di parte materna, per serate interminabili sotto al cielo stellato di Romagna. |
Le attività delle Radio
E fu proprio qui, in Romagna, dove iniziai a scrivere, per l’esattezza articoli di ciclismo. Seguivo
le tappe del Giro o del Tour o le altre corse, in televisione. Poi mi trasferivo in giardino e battevo
una pagina con una vecchissima macchina da scrivere. Quindi mi fiondavo in macchina e raggiungevo la
sede della Radio, a Faenza, dove, all’incirca alle sette e venti di quasi ogni sera, leggevo il mio
articolo al microfono, in diretta. Nella stessa Radio e un paio di mesi dopo in un’altra, a Forlì, iniziai a condurre trasmissioni di vario genere, ma mio padre, ormai consolidato nella sua carriera artistica, si ammalò, e lo raggiunsi a Milano, dove comunque riuscii a proseguire l’attività di animatore radiofonico presso una emittente della capitale del nord. La Rai di Firenze Un giorno mi venne in mente di tentare la sorte con la Rai. Avevo sempre avuto il pallino di tornare ad abitare in Toscana, e dato che ero bloccato a Milano, pensai che una collaborazione con la sede Rai di Firenze potesse essere un inizio di semi trasferimento. Con mia grande sorpresa, la mia collaborazione fu subito accettata, e così allo scrivere narrativa per hobby si aggiunse lo scrivere testi per la Rai. Fu un’esperienza entusiasmante, in cui si alternarono varie serie di argomenti, dai sonetti ai personaggi toscani. Ma le condizioni di salute di mio padre richiesero la mia presenza costante al suo studio, in cui mi adattavo a mansioni di ogni genere, compreso lo spostare i quadri ogni volta che venivano a visitarlo. Ero un segretario speciale, che lo accudiva materialmente e moralmente, come collaboratore, figlio e amico. Alla sua scomparsa mi mancò letteralmente il terreno sotto i piedi. Non è facile trovarsi di colpo a vivere senza una persona con la quale si ha condiviso intensamente quarant’anni. Per trovare ancora una ragione di esistenza, mi regalai un computer portatile, per ricominciare a scrivere. |
La passione travolgente per l’informatica
Ma il capire il funzionamento stesso di quella strana macchina, mi portò ad essere travolto dalla
mia nuova ennesima passione: l’informatica. Pian pianino lasciai perdere tutto e cominciai a bazzicare le librerie, prima fra tutte la Hoepli, per crearmi da autodidatta una cultura informatica. Avevo una sete insaziabile. Seguii anche dei corsi all’Università e ciò che più d’ogni altra cosa mi entusiasmava era la programmazione. Era incredibile come il motore di un computer in definitiva fosse un insieme di frasi scritte, astruse, sì, forse, con parole in inglese e parole inventare, con simboli, con segni grafici, ma una ferrea logica interna. E quel linguaggio muoveva la macchina, diventava un sistema operativo, un elaboratore di testo, uno strumento di impaginazione, un foglio di calcolo, un archivio (o database), un set di diapositive grafiche atte a presentare un argomento. Mi gettai anima e corpo nello studio di Unix e di Windows, e poi di Linux, e di Word, Excel, PowerPoint, Access, Java, Html, JavaScript, Css, C++ (che gli informatici, giustamente, pronunciano all’inglese Ci plas plas!). Torna la fatica della scrittura Tra il 2005 e il 2007 questa febbe informatica approda ad un primo obiettivo nei diplomi ECDL di base e Advanced e nel 2008 un secondo, l'incarico da parte della Jackson Libri, di scrivere cinque manuali di informatica di base. La narrativa: Ma intanto, scrivendo di informatica, mi tornava la passione antica per la narrativa. Non più realismo, ma fantasia. Perché la fantasia, nella sua astrazione, alla fine racconta cose più vera della realtà. |
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