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Frändefors Immagini di Juanita Trinidad Gianni Nigro |
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A metà strada, circa, tra Goteborg e Karlstadt, lungo la E45, si trova un villaggio che sembra il paese di Pippi
dalle calze lunghe. Le casette a un piano, raramente a due, coloratissime, quasi tutte circondate da un giardinetto,
una chiesa attorniata dalle tombe dei paesani passati a miglior vita, un piccolo ma completissimo supermercato, il
tutto crea l’atmosfera della Svezia di un tempo che fu. In realtà il paesetto di Pippi le calze lunghe esiste ed da tutt’altra parte, non ho ancora avuto la fortuna di visitarlo e spero che un giorno ciò avverrà. La scoperta di Frandeforce è avvenuta quasi per caso. Erano le tre circa del pomeriggio ed eravamo a digiuno dalla sera prima. Per giunta era sabato pomeriggio e temevamo che ormai fosse tutto chiuso, tranne eventualmente i benzinai, dove qualcosa da mettere sotto i denti si rimedia sempre. Ma quando si è in gita o in viaggio si vorrebbe qualcosa di iù del cibo standard e un super mercato sarebbe stato l’ideale. Stavo percorrendo proprio la via che serpeggia dentro una di quelle relativamente piccole città, fatta di case colorate e ben distanziate l’una dall’altra, quando intravidi, dall’altro lato della strada una costuzone bassa e larga, la sagoma tipica del super mercatino di medie dimensioni. Mi fermai. Era chiuso? Dal portone a vetri nessuno entrava né usciva, ma ciò non dimostrava nulla. Svoltai per posteggiare nel parcheggio del super mercato. Le luci all’interno erano accese. Cominciavamo a tremare dall’emozione. Tutto era fantastico. Il parcheggio e l’intera area del super mercatino era circondata da piccole case colorate e apparentemente deserte. Un villaggio incantato. Un silenzio assoluto. L’aria era profumata, lo smog della val Padana un lontanissimo ricordo. Non restava che addentrarci nella foresta dell’Amazzonia armati di macete, in cerca di cibo. E subito capimmo che c’era solo l’imbarazzo della scelta. Tutti i tipi di pane scuro, con o senza semi di pistacchio, di sesamo e quant’altro. Poi barattoli di persce della marca Abba (non credo che il celebre quartetto musicale abbia investito i proventi della vendita dei dischi nei barattoli del pesce) e infine cotolette e pollo arrosto al banco. Ma come tralasciare le mille varietà di formaggi e soprattutto di insare russe, che lì chiamano insalate italiane? Ce n’è per tutti i gusti: con gamberetti, con pezzetti di formaggio... l’unico difetto è, forse che sono un po’ troppo grasse, ma ne si fece ugualmente man bassa. Insomma, quella era Frandeforce. O meglio, chiariamo: l’insieme del super mercatino e delle casette colorate e dei giardini e della chiesa circondata dalle tombe a terra degli abitanti passati a miglior vita e dei boschi di betulle e delle praterie del Darland, quella era Frandeforce. |
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